Di Fabio Casalini

“Sono cresciuto libero, spostandomi continuamente e lavorando duro. Nel marzo 1938, eravamo accampati con il nostro carro in un campeggio di Vienna, per l’inverno, quando la Germania annetté l’Austria, poco prima del mio settimo compleanno. I Tedeschi ci ordinarono di non allontanarci. I miei genitori dovettero convertire il nostro carro in una casa di legno, ma io non ero abituato a vivere tra le pareti di una casa. Mio padre e mia sorella maggiore cominciarono a lavorare in una fabbrica e io cominciai ad andare a scuola.Quando arrivò il 1943, tutta la mia famiglia era già stata deportata in un campo nazista a Birkenau, dove c’erano già migliaia di Zingari. Adesso vivevamo rinchiusi dal filo spinato. Quando giunse il 1944, solo 2.000 zingari erano ancora vivi; 918 di noi furono messi in un convoglio che andava a Buchenwald, ai lavori forzati. Una volta là, i Tedeschi decisero che 200 di noi non erano in grado di lavorare e li mandarono indietro, a Birkenau. Io ero uno di loro, perché pensavano fossi troppo giovane per lavorare. Mio fratello e mio zio, però, riuscirono a convincerli che avevo 14 anni, ma che ero un nano. Così restai. Tutti gli altri di coloro che furono costretti a tornare indietro, vennero uccisi con il gas.”Karl Stojka (20 aprile 1931, Wampersdorf; 10 aprile 2003 Wien) fu un artista austriaco di etnia rom Lovari, sopravvissuto all’Olocausto.Karl era il quarto di sei figli di una famiglia Rom di religione cattolica ed era nato nel paesino di Wampersdorf, in Austria. Gli Stojka appartenevano ad una tribù zingara chiamata Lowara Roma, che tradizionalmente conduceva una vita nomade commerciando in cavalli. Vivevano in un carro con il quale viaggiavano, ma trascorrevano gli inverni a Vienna, la capitale austriaca. Gli antenati di Karl avevano cominciato a vivere in Austria duecento anni prima.

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