Di Fabio Casalini

“LA PIAGA DELLA PEDERASTIA IN QUESTO CAPOLUOGO TENDE AD AGGRAVARSI E GENERALIZZARSI PERCHÉ GIOVANI FINORA INSOSPETTATI ORA RISULTANO PRESI DA TALE FORMA DI DEGENERAZIONE SESSUALE”.

La fotografia ci ricorda gli internati omosessuali nei campi di concentramento che erano riconoscibili tramite triangolo rosa]L’isola di San Domino è una porzione di terra completamente circondata dal mare facente parte dell’arcipelago delle Tremiti, o Diomedee, nel mar Adriatico. Attualmente rientra nella provincia di Foggia. San Domino è l’isola dell’arcipelago che rileva le tracce di presenza umana più antiche poiché sono stati rinvenuti resti di un villaggio del Neolitico. L’isola porta il nome del vescovo , e martire, San Domino al quale era consacrata, insieme a San Iacopo, una chiesa i cui primi documenti risalgono al IX secolo. Nello stesso periodo arrivarono i monaci benedettini per costruirvi un monastero. Dopo l’anno Mille iniziarono ad erigere un secondo monastero nella vicina isola di San Nicola. I benedettini furono sostituiti dai cistercensi sino al XV secolo, quando l’ordine decise di cedere il monastero al cardinale Marmaldo. Sino a questo punto la storia di San Domino è la storia di tanti piccoli borghi italiani. Nel corso del periodo fascista accadde un fatto unico, che dovrebbe essere conosciuto e insegnato alle nuove generazioni. San Domino durante il ventennio divenne una colonia penale per omosessuali. Occorre introdurre delle annotazioni poiché il reato di omosessualità non era presente nella legislazione italiana durante il fascismo, e nemmeno prima della salita al potere di Benito Mussolini. Nel 1927 quando si discuteva dell’introduzione del Codice Rocco, in sostituzione del Codice Zanardelli, fu previsto un articolo, il numero 528, che prevedeva il carcere da uno a tre anni per chiunque avesse relazioni omosessuali. La pena poteva essere aggravata dalle circostanze di accadimento. Nel momento finale della discussione l’articolo fu, a sorpresa, escluso dal Codice Rocco. Dalla lettura della relazione finale della Commissione Appiani, che si occupava della messa a punto del codice, comprendiamo i motivi della soppressione: “la previsione di questo reato non è affatto necessaria perché per fortuna e orgoglio dell’Italia il vizio abominevole che ne darebbe vita non è così diffuso tra noi da giustificare l’intervento del legislatore, nei congrui casi può ricorrere l’applicazione delle più severe sanzioni relative ai diritti di violenza carnale, corruzione di minorenni o offesa al pudore ma noto che per gli abituali e i professionisti del vizio, per verità assai rari, e di impostazione assolutamente straniero, la Polizia provvede fin d’ora, con assai maggiore efficacia, mediante l’applicazione immediata delle sue misure di sicurezza detentive”. La situazione in Germania, dopo la salita al potere di Hitler, fu diversa. Ancora oggi non esistono numeri precisi, ma possiamo comprendere che dopo ebrei e zingari gli omosessuali furono l’insieme di persone maggiormente colpito dalla follia nazista. Secondo l’Arcigay “furono 100.000 gli omosessuali arrestati dai nazisti tra il 1933 e il 1945. Tra questi 15.000 vennero internati nei campi di concentramento. Dai documenti ufficiali del regime è risultato che solo 4000 furono i sopravvissuti”. Nei campi di concentramento nacque un simbolo per differenziare gli omosessuali dalle altre persone internate: il triangolo rosa. In Italia la repressione era diversa. Dal 1936 il regime fascista preferì utilizzare il confino di polizia per punire gli omosessuali. Il confino consentiva alle autorità di arrestare e sottoporre al giudizio di una apposita commissione provinciale chi fosse sospettato di pederastia. In base alle prove raccolte, il sospettato poteva subire una diffida, un’ammonizione o il confino fino a 5 anni. Negli anni seguenti la situazione si aggravò poiché l’omosessuale fu definito antifascista perché la devianza era un attentato alla dignità della razza. Compreso il contesto storico dovremmo chiederci dove queste persone furono confinate. Il fascismo decise di inviare i gay a Lampedusa, Ustica e nell’isola di San Domino nelle Tremiti. Anche in questo caso non esistono numeri precisi, ma parliamo di alcune centinaia di persone rispetto alle decine di migliaia del regime nazista. Tra il 1936 ed il 1940 circa 300 omosessuali furono inviati al confino. Alcuni di loro scontarono la pena di 3 anni, altri di 5, alcuni, i più fortunati e con parentele importanti, tornarono a casa poco dopo l’applicazione della sentenza. Nel 1939 circa 60 omosessuali furono confinati nell’isola di San Domino. Un’annotazione particolare riguarda la provenienza di queste persone: 45 di loro provenivano da Catania. Gli altri uomini provenivano da ogni parte della penisola e svolgevano le più svariate mansioni. Una domanda che appare scontata attiene al perché la maggior parte dei confinati arrivasse dalla città siciliana. Possiamo ritenere che il questore dell’epoca, Alfonso Molina, fosse molto solerte nell’applicazione della strategia del confino per gli omosessuali? Nel documento ufficiale del provvedimento di confino per gli abitanti di Catania si legge: “il dilagare di degenerazione in questa città ha richiamato la nostra attenzione. Ritengo indispensabile, nell’interesse del buon costume e della sanità della razza, intervenire energicamente perché il male venga aggredito e cauterizzato nei suoi focolai. A ciò soccorre, nel silenzio della legge, il confino di polizia”. Per completezza d’informazione occorre ricordare che esiste un caso irrisolto di omicidio a Catania di un ragioniere che intratteneva molte relazioni sociali all’interno della comunità catanese. Le indagini sul delitto scateneranno una corsa alla detenzione di molti personaggi della città. Gli arresti giunsero in due momenti diversi: il primo gruppo, di venti persone, fu confinato a Ustica, Favignana e Lampedusa per un periodo variabile sino ad un massimo di 5 anni di pena, il secondo gruppo, circa di pari numero, fu condannato anch’esso a 5 anni di confino. Nel momento in cui fu emanato l’ordine di confino fu deciso di riunire tutti i deportati in un solo luogo e fu scelta l’isola di San Domino nelle Tremiti, all’epoca disabitata. Interessante compiere un passo indietro e risalire all’inizio delle indagini del questore Molina. All’interno del documento con cui avviò l’inchiesta si legge che “la piaga della pederastia in questo capoluogo tende ad aggravarsi e generalizzarsi perché giovani finora insospettati ora risultano presi da tale forma di degenerazione sessuale”. Dato che era sufficiente una denuncia senza prove, possiamo affermare che vi erano tutti i requisiti della nota caccia alle streghe di stampo contro-riformato. Leggendo il libro di Goretti e Giartosio,La città e l’isola, possiamo comprendere lo stato d’animo di questi ragazzi, che nessun reato avevano commesso. In una lettera di Leonardo a’ Francisa, condannato a 5 anni di confino per omosessualità, datata 6 ottobre 1939 possiamo leggere: “è da otto mesi che sospiro la libertà tutti i giorni, in tutte le ore, in tutti i momenti. La legge umana fa espiare i delitti e i reati degli uomini, privandoli di essa, Dio nell’Eden punì l’uomo con la morte, ma non gli tolse la libertà. Dunque vale più della vita. La vita senza di essa è morta, specialmente per un ragazzo a vent’anni, che deve pensare seriamente al suo avvenire. Ed io quale delitto, quale male ho commesso per essere privato così inesorabilmente di questo grande tesoro? Di qual reato di quale scandalo mi si può incolpare?”. La lettera era indirizzata al Ministero degli Interni. Come trascorreva la vita dei confinati sull’isola di san Domino? Le persone furono portate in catene per poi essere lasciate liberi di muoversi, sempre sorvegliati dalle guardie. La giornata iniziava all’alba e terminava alle otto di sera, in alternativa alle ventuno nelle sere d’estate, quando una campana avvisava le persone che era giunto il momento di ritirarsi nelle camerate. L’unico svago della giornata era dato dal viaggio verso l’isola di San Nicola, a 15 minuti circa di barca, per effettuare la spesa. I confinati vivevano con 5 lire al giorno che passava lo stato, quando un chilo di pane costava circa 2 lire e quaranta. Molti dei detenuti ricevevano pacchi contenenti cibo dalle rispettive famiglie oppure svolgevano mansioni simili al lavoro che gli competeva prima dell’arresto. Molti omosessuali videro il confino come una vergogna personale e per le proprie famiglie. Alcune testimonianze indicano che altri vissero con più serenità la situazione di deportazione. Leggendo le testimonianze contenute nell’articolo di Arianna Pescini, per Focus storia, possiamo comprendere che alcuni trascorrevano la giornata senza troppe pressioni psicologiche. Nacquero anche storie d’amore e di prostituzione, perché i soldi non bastavano per mangiare decentemente. Interessante la testimonianza di un ragazzo di nome Giuseppe, confinato sull’isola: “là ci sono state perfino coltellate fra siciliani, per passione. Poi non avevamo abbastanza soldi, e qualcuno era costretto a fare marchette con chi era più ricco”. Nello stesso documento si comprende che alcuni pescatori passavano da San Domino la sera per togliersi lo sfizio di un rapporto omosessuale. Non solo pescatori ma anche rappresentati delle forze dell’ordine. Con l’ingresso dell’Italia in guerra, l’isola di San Domino fu riconvertita in campo d’internamento per stranieri. I femminielli, nomignolo spesso utilizzato in epoca fascista, fecero ritorno nelle città di provenienza. Pena scontata? Assolutamente no poiché furono soggetti all’obbligo di firma in questura ogni sera. Poi tutto mutò. Un giorno gli alleati sbarcarono in quella stessa Sicilia che anni prima vide una serie di arresti a catena nei confronti degli omosessuali. Passarono gli anni ma non la repressione. Dario Petrosino, sulla base della documentazione conservata all’Archivio Centrale dello Stato, scrive:“Nelle relazioni al capo della polizia conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato (ministero dell’interno, dipartimento generale della pubblica sicurezza), emerge con chiarezza la consistenza del fenomeno: la raccolta dei dati ha inizio nel novembre 1952 e già in quell’anno in soli due mesi vengono eseguiti 518 provvedimenti di polizia che salgono a 1117 nel 1953 e 1407 nel 1954. Da 1955 inizia un calo che vede scendere il numero dei provvedimenti a 671 e poco sopra i 600 negli anni successivi. Poi la curva ricomincia a salire e a metà degli anni ’60 gli omosessuali finiti sotto la lente della pubblica sicurezza sono ancora di più: 1474 nel 1964, ben 3062 nel 1965. Possiamo affermare con rapido calcolo che tra il 1952 e il 1965 furono compiuti in Italia dalla polizia più di 11 mila provvedimenti tra fermi, ammonizioni, diffide, arresti e invii al confino nei confronti degli omosessuali. Credevamo che l’invio al confino fosse una prerogativa dell’odiato regime ed invece apprendiamo che la Repubblica in questo ha battuto il Fascismo per ben più di 100 a 1”. Chi era al governo del paese negli anni del dopoguerra?

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