Nel periodo compreso fra il 31 dicembre 1977 e il 6 gennaio 1979, un uomo di nome Saloth Sar, governò la Cambogia mettendo in atto quello che la storia contemporanea ricorda come il genocidio cambogiano o autogenocidio cambogiano

Khmer Rossi 1

Nel periodo compreso fra il 31 dicembre 1977 e il 6 gennaio 1979, un uomo di nome Saloth Sar, governò la Cambogia mettendo in atto quello che la storia contemporanea ricorda come il genocidio cambogiano o autogenocidio cambogiano. Un fenomeno che per le sue immani proporzioni e la capillarità della sua azione, può essere considerato come un caso senza precedenti nella storia.
Neppure Hitler e Stalin riuscirono ad eguagliare, in proporzione al tempo considerato, il numero di vittime presunte attribuite al governo di questo piccolo uomo dall’aria rassicurante. Saloth Sar, al secolo Pol Pot o Fratello n° 1, fu capo del partito comunista cambogiano e del governo nel periodo che prenderemo in esame.
Il numero di vittime attribuito al suo operato non è di facile determinazione, mancano documenti a suffragio delle ipotesi avanzate. Si va da 800.000 a 3.800.000 persone, ma la cifra più credibile, suffragata da alcune testimonianze di collaboratori di Pol Pot, si aggira intorno ai 2.500.000 cambogiani. I dati riportati sono tratti da studi fatti da organismi internazionali riconosciuti, in base al numero di vittime rinvenute nelle fosse comuni, senza tener conto della numerica delle persone scomparse senza lasciare traccia per i più disparati motivi.

Prima di questo periodo insanguinato, la Cambogia fu protettorato francese dal 1863 al 1953, anno in cui ottenne l’indipendenza. La maggioranza della popolazione era composta dall’etnia Khmer, la cui religione era il Buddhismo Theravada. La lingua khmer, appartenente al gruppo mon-khmer, ha una tradizione molto antica, fatta risalire al VII secolo d.c. Nel paese erano presenti anche una minoranza cinese, dedita al commercio, una vietnamita e una Cham, composta da circa 100.000 individui di fede islamica, discendenti degli abitanti del glorioso Regno Champa, che per molti secoli ebbe il controllo dei territori costieri.
Nel 1955, prese il potere un nuovo movimento politico, guidato dall’ex sovrano Norodom Sihanouk, la Comunità Socialista Popolare, che rimase al potere fino alla fine degli anni Sessanta. La politica attuata da Sihanouk fu di neutralità soprattutto nell’ambito delle relazioni internazionali, mantenendo distacco sia dall’Occidente sia del blocco comunista. Cercò anche di rilanciare l’economia nazionale e di ristrutturare l’educazione e la sanità, dando nuovo slancio al proprio paese. Cercava di mantenere la Cambogia libera e di non farla coinvolgere nella guerra del vicino Vietnam, che durò dal 1955 al 1975. La situazione mutò improvvisamente nel 1970, quando il primo ministro Lon Nol, appoggiato dalla CIA, rovesciò il governo di Sihanouk, approfittando di un suo viaggio all’estero, istituendo il 18 marzo la Repubblica Khmer.

Sihanouk per non uscire totalmente dalla scena politica del paese, godendo ancora di una certa influenza sulla popolazione, si alleò con i Khmer Rossi, guerriglieri comunisti capeggiati da Pol Pot. Sihanouk durante il conflitto si rifugiò a Pechino, dove fondò il FUNK Fronte Unito Nazionale di Kampuchea, che comprendeva Pol Pot e il suo esercito. Insieme costituirono il primo nucleo combattente Khmer Rosso, che occupò gradualmente le regioni lasciate dai nord vietnamiti durante la loro ritirata.
Le zone conquistate furono la sede del primo esperimento di società basato sul modello di Pol Pot e l’occasione per attuare una campagna di epurazione contro i vietnamiti residenti nelle zone orientali della Cambogia e contro i comunisti rientrati dal Vietnam del Nord.
Lo scontro fra l’esercito di Lon Nol, sostenuto dagli americani e i guerriglieri di Pol Pot, durò fino al 1975, quando la capitale Phnom Penh fu posta sotto assedio. All’inizio la popolazione, più che triplicata a causa dell’immigrazione dalle campagne, vedeva l’arrivo dei “piccoli uomini neri usciti dalla foresta” con gioia, ma ben presto si resero conto che i soldati Khmer non erano venuti con intenzioni pacifiche, ma per sgomberare città e zone conquistate. Il nuovo regime fece in quei giorni le prime vittime. Tutte le persone furono censite al fine di individuare gruppi di corrotti.
Il 17 aprile Phnom Penh venne conquistata. Lon Nol fuggì negli Usa, mentre i vertici del vecchio regime e ogni potenziale oppositore politico furono uccisi senza tanti convenevoli.
La popolazione fu divisa in due gruppi: i NUOVI, o popolo del 17 aprile 1975, ed i VECCHI o popolo del 18 marzo 1970. I secondi erano considerati corrotti. La popolazione della capitale fu rastrellata e costretta a marciare verso le campagne, disabili e infermi compresi. Oltre 3.000 persone perirono lungo il tragitto. Tutti i partiti furono messi al bando, ad eccezione di quello Khmer. I cittadini stranieri presenti sul territorio furono espulsi dal paese.
La Cambogia da quel giorno visse isolata dal resto del mondo e si trasformò in un gigantesco campo di lavoro. Solo pochi collegamenti aerei con la Cina, per motivi di commercio, rimasero attivi. Pochi altri voli erano permessi ai quadri cambogiani o ai funzionari dell’esercito di Pol Pot. Il 12 maggio in seguito al sequestro della nave mercantile americana S.S. Mayaguez, iniziò la crisi della Mayaguez, che si concluse con la morte di 41 soldati statunitensi, il ferimento di molti altri e la vittoria morale dell’esercito di Pol Pot.

Pochi giorni dopo, il 22 maggio, caddero le ultime roccaforti fedeli a Lon Nol, all’estremo confine con la Thailandia: il pese passò da quel momento completamente in mano di Pol Pot. Nasceva ufficialmente così la Kampuchea Democratica. Iniziava coì un regime di vero orrore.
Il governo manteneva saldamente le redini del paese, nominando ministri di sola facciata. In realtà la direzione del paese era in mano all’Angkar, misteriosa organizzazione a completa disposizione di Pol Pot e dei suoi. Secondo video di propaganda dell’epoca, “l’Angkar ha occhi ed orecchie dappertutto”. La popolazione, intimorita, era spinta a venerare l’Angkar Padevat o Angkar Loeu, con fanatismo quasi religioso. In lingua cambogiana significava “Organizzazione Rivoluzionaria o Organizzazione Suprema”. I leader di partito non erano mai chiamati per nome, ma con l’appellativo Fratelli e un numero, oppure con nomi di battaglia.
L’organo principale del partito era costituito dal Comitato Centrale, i cui membri rimasero segreti. Quelli permanenti formavano il Nucleo del Partito. Sulla sua composizione non ci sono certezze. Si presume che fra i suoi componenti vi fossero, oltre a molti altri: Pol Pot, detto “Fratello Numero 1”, leader supremo e Segretario Generale del Partito; Khieu Ponnary, detta “Sorella Numero 1”, moglie di Pol Pot e sorella di Khieu Tirith; Nuon Chea, detto “Fratello Numero 2”, Presidente dell’Assemblea del Popolo dal 1976 al 1979, Vicesegretario del Partito, vice Primo Ministro e sostituto di Pol Pot; Ta Mok, altrimenti detto “Fratello Numero 5” , soprannominato “Il Macellaio”, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito a partire dal 1976, mentre dall’anno dopo fu Primo Vicepresidente dell’Assemblea del Popolo; Khieu Thirith, detta anche Phea o Hong, prima Ministro degli Affari Sociali e poi corresponsabile con il marito degli Affari Esteri, nonché responsabile della famigerata organizzazione segreta Alleanza della Gioventù Comunista della Kampuchea, formata da ragazzini totalmente devoti al regime, strumento di Pol Pot nel controllo dell’apparato del Partito. Organo esecutivo del Comitato era l’Ufficio 870.

La vita sociale ed economica del paese fu totalmente riorganizzata. Il primo provvedimento preso consisteva nella totale abolizione della proprietà privata. Nacquero enormi comuni agricole, ognuna isolata dall’altra, autosufficienti, in cui si consumavano i pasti collettivamente. Erano popolate dalle genti evacuate dalle grandi città. Tutti, compresi i bambini, erano impiegati nel lavoro nei campi. La moneta fu abolita, in quanto fonte di disparità sociale. Venne introdotto il baratto, e il riso, prodotto in tutto in paese, diventò moneta di scambio. Questa nuova politica agricola causò lunghi periodi di carestia. Ben presto il governo centrale si accorse della necessità di riavviare l’industria, anche se incontrarono notevoli difficoltà legate all’impreparazione generale.
Istituzioni giudiziarie e scuole furono abolite. Chiunque trasgredisse la legge dei campi di lavoro era giustiziato. Le guardie che vigilavano sui campi erano chiamate Mékong. Non superavano i 10 – 15 anni di età.
Disabili e infermi furono eliminati, i malati trattati solo con preparati della medicina tradizionale cambogiana. L’applicazione del pensiero del nuovo governo era assicurata da guardie adolescenti chiamate Yotear, che non esitavano a uccidere alla minima trasgressione.
I Khmer Rossi erano profondamente nazionalisti e xenofobi. Per questo motivo procedettero all’eliminazione dell’80% della comunità Cham, presente principalmente lungo la costa e nella città costiera di Sihanoukville. Con loro furono decimati anche la minoranza cinese e quella vietnamita. Alcune testimonianze parlavano di sommarie esecuzioni, solo per aver utilizzato più o meno volontariamente uno degli innumerevoli vocaboli proibiti, per aver pianto un congiunto, per aver avuto relazioni sessuali non autorizzate, per aver pregato, per aver rubato del cibo, per il possesso di oggetti preziosi, per essersi lamentati di qualcosa o per aver “lavorato poco”. Per trasgressioni minori si riceveva una ammonizione, alla seconda la condanna a morte.

Per far capire quanto poco valesse la vita del singolo uomo per il Comitato Centrale, Pol Pot era solito dire durante i discorsi pubblici: «Lasciarli vivere non ci porta alcun beneficio, farli sparire non ci costa nulla.»
La giornata nei campi si svolgeva così: 12 ore di lavoro, 2 ore per mangiare, 3 ore per il riposo e l’istruzione (indottrinamento) e 7 ore di sonno. L’obiettivo del Regime di Pol Pot era quello di forgiare il cosiddetto “uomo nuovo”, ateo, rivoluzionario, privo di affetti, dedito esclusivamente al lavoro dei campi, fedele alla patria e all’Angkar. I bambini, considerati incontaminati dal vecchio sistema di vita, ricoprivano cariche importanti e di responsabilità, esercitando il loro potere anche sugli adulti. Erano educati alla violenza e alla crudeltà, sia sugli uomini che sugli animali.
La classe intellettuale fu considerata reazionaria e pertanto epurata. Possedere un libro, il portare gli occhiali, conoscere una lingua straniera, avere materiale per scrivere era considerato reato punibile con la morte. La cultura doveva essere impartita a partire dalla politica, secondo le direttive del governo.
Erano vietate le espressioni di affetto parentale, l’amicizia o qualsiasi altro sentimento individuale, ci si poteva rivolgere agli altri usando solo gli appellativi “compagno” o “fratello”. I gesti ossequiosi erano proibiti in quanto reazionari. Il calendario occidentale fu abolito in favore di un “calendario rivoluzionario” che escludeva qualunque periodo o evento precedente al 1975, che fu considerato come Anno Zero. Il 5 gennaio 1976 entrò in vigore la Costituzione della Kampuchea Democratica. Era composta da 16 capitoli e 21 articoli che definivano gli obiettivi della politica economica, sociale, culturale ed estera. L’’articolo 12 racchiudeva diritti e doveri di ciascun individuo: “gli uomini e le donne sono sotto tutti gli aspetti uguali…tutti gli operai e tutti i contadini sono padroni delle loro fabbriche e dei loro campi… non c’è assolutamente disoccupazione nella Kampuchea Democratica.” Quindi tutti sono obbligati a lavorare.
Il potere legislativo era attribuito all’Assemblea Rappresentativa del Popolo Cambogiano (ARPC), un organismo di 250 membri, che rappresentavano gli operai, i contadini, i lavoratori e l’Esercito Rivoluzionario. Il ramo esecutivo del governo, scelto dall’ARPC, prendeva il nome di Praesidium. Rappresentava lo Stato della Kampuchea Democratica sia all’interno che all’esterno del paese. Il sistema giudiziario era composto di Corti del Popolo, i cui giudici erano nominati dall’ARPC.

Questo tipo di organizzazione istituzionale è solo presunta e arriva a noi tramite testimonianze orali, in quanto i Khmer Rossi non erano soliti usare documentazione scritta.
La libertà di religione era sancita dalla costituzione, ma al tempo stesso erano bandite “tutte le religioni reazionarie, dannose per lo Stato e per il Popolo cambogiano”, quindi ogni fede che avesse come punti di riferimento qualcosa di diverso dall’Angkar. Aspramente perseguitati furono i Buddhisti, che costituivano l’85% della popolazione: i monasteri furono chiusi o distrutti, i monaci, circa 50.000, vennero uccisi o rinchiusi nei campi di lavoro. Cristiani, ebrei e musulmani, pur essendo una minoranza, furono perseguitati in modo mirato: gli ebrei ad esempio erano marchiati a fuoco con la Stella di Davide, mentre i mussulmani erano costretti mangiare carne di maiale.
Pol Pot e i suoi fedeli collaboratori diedero vita ad un vero e proprio genocidio. Campi di concentramento e prigioni si diffusero in tutto il paese. Il numero dei bambini uccisi fu altissimo, ma imprecisato. Le esecuzioni cruente. Le vittime erano picchiate, bastonate o accoltellate a morte, altre volte si ricorreva al soffocamento per mezzo di un sacchetto di plastica in cui veniva infilata la testa del condannato, oppure a colpi di zappa sul cranio, od ancora si versava gasolio nella vagina delle donne e appiccando il fuoco. Quasi mai venivano utilizzate pallottole, considerate troppo preziose per tali scopi. Alcune testimonianze, parlano di episodi di cannibalismo ai danni di adulti e bambini, sventrati ancora vivi allo scopo di mangiarne il fegato cotto o la cistifellea essiccata, considerata curativa nella medicina tradizionale, la sola consentita. Le guardie di alcune carceri erano solite mutilare i condannati a morte prima dell’esecuzione, asportando le loro orecchie che poi erano costretti ad ingoiare. I resti umani erano utilizzati come fertilizzante per i campi. Il numero maggiore di vittime lo fecero, nonostante tutto, le carestie, le malattie e le guerre. Restano comunque come un monito per tutti le epurazione di massa messa in atto dal governo dei Khmer Rossi. Molte stragi furono ordinate da funzionari locali, anche se pare difficile credere che Pol Pot ne fosse all’oscuro. La ripresa del conflitto contro il Vietnam e le diverse potenze politiche internazionali coinvolte portarono alla caduta del governo di Pol Pot. Questa in sintesi la folle politica di epurazione attuata in 2 anni e 6 giorni dal Nucleo Operativo. Non voglio qui affrontare le vicende successive e capire perché uno spietato assassino, che agì sotto gli occhi del mondo, non fu giudicato e condannato per i crimini commessi. Sempre presente nella scena politica della Cambogia, Pol Pot morì nel 1998, in fuga dall’esercito governativo, pare stroncato da un infarto. Della sua politica restano molte tracce, fosse comuni, teschi, resti di ossa, numerosi musei alla memoria e il ricordo indelebile dei testimoni che sopravvissero a quei giorni.

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